venerdì 13 aprile 2012

come leggono gli adolescenti

venerdì 13 aprile, ore 18.45. percorrendo viale buonarroti, incrocio due ragazzine (primi anni delle superiori) che, ovviamente, parlano al telefonino.
il tono di voce è forte, e non posso evitare di ascoltare, stanno fissando un appuntamento:
siamo vicino a un negozio, c'è scritto: nevi, vacanze favolose.
barcollo, giacché ho presente l'insegna, che recita, invece: nevi, onoranze funebri.
l'equivoco è notevole e merita un tentativo di spiegazione.
senz'altro l'età, in cui morte e annessi cerimoniali sono ancora un insieme di significanti a cui corrisponde un significato vago ed estraneo, ma al contempo minaccioso, fa si che l'attenzione sia deviata in partenza dal problema: si distoglie lo sguardo, non si vuol vedere.
insistendo, si può ipotizzare che, colta la minaccia, a livello subliminale, l'inconscio sia intervenuto con le stesse modalità metaforiche e metonimiche con cui opera nel sogno, mutando l'estremo viaggio in una più accattivante vacanza estrema e trasportando tutto dalla dimensione dell'horror a quella rassicurante della favola.
la spiegazione è accettabile, ma io propendo per una soluzione che, senza escludere la componente psicologica, sottolinea le carenze di certe tecniche di lettura importate nella nostra scuola.
nelle metodologie di comprensione della lettura, di una scuola ormai appiattita sul modello delle prove invalsi, c'è chi utilizza il metodo delle parole chiave.
il metodo, che in definitiva ricrea  le modalità di comunicazione della prima infanzia (la parola pivot: bimbo/cacca, mamma/pappa ...) funziona egregiamente con lingue abbastanza primitive, come l'inglese, ma rischia di far cilecca negli idiomi dal sintagma più complesso.
nella fattispecie, l'errore non è però neppure giustificato da uno di quei costrutti non semplici della nostra lingua, va addebitato, invece, a un precipitoso trascinamento semantico, in virtù del quale, identificata nevi, come parola chiave - e frainteso in comune, un nome proprio-  ...anze f..., si sono completate in vacanze favolose, con tecnica dilettura veloce, ma fallace.
è di questi giorni la notizia che il politecnico di torino bandisce l'italiano come lingua di studio, sostituendolo con l'inglese. è una buona idea, che andrebbe estesa a tutti i corsi, a cominciare da quello di lingua e letteratura italiana.

giovedì 12 aprile 2012

fondazione faraggiana

martedì scorso, massimo debernardi ha parlato di tecnologia e filosofia in un'interessante conferenza, che ho cercato di riassumere in questa mappa:

debernardi ha preso le mosse dai fotogrammi iniziali del film di kubrick 2001. odissea nello spazio, laddove un ominide, giocherellando con ossa di animale, intuisce la potenzialità di un loro diverso uso. 
nella narrazione di kubrick è data come esplicita - con l'inserimento di  sequenze che alludono alla capacità di immaginare e prefigurare - l'intenzionalità che trasforma l'homo ludens delle prime battute del film, nel compiuto homo faber di quelle successive; da qui, alla volontà di dominio sui suoi simili, mediante l'uso di quelle tecniche inizialmente progettate per la sopravvivenza, il passo è breve.
sulla presunta intenzionalità, c'è naturalmente da discutere, e anche debernardi, con cui concordo, inclina a dar spazio, per spiegare la genesi dei primi strumenti, più alla casualità (quella serendipity a cui dobbiamo la penicillina) che ai rudimenti di un metodo sperimentale.
d'altra parte, la questione rischia di essere mal posta, attribuendo modi e categorie di un pensiero concettualmente maturo, che discerne tra otium e negotium,  ad un nostro antenato di poco evoluto rispetto alla generalità dei primati.
utilizziamo qui, ovviamente un metodo narrativo funzionale alla legittima proiezione a ritroso delle nostre categorie di pensiero, poiché di quei problemi che, probabilmente inavvertiti come tali, nacquero all'alba del mondo , dobbiamo comunque darcene conto oggi, con gli strumenti di oggi.
siamo, dunque, di poco avanti rispetto al racconto mitologico, a cui si deve riconoscere  la tempestiva capacità di porre sul tappeto, in chiave metaforica, le questioni di cui ancora si dibatte.
è evidente che lo slittamento dell'uso dello strumento tecnico (dalla leva all'energia atomica) dal piano di difesa dalla natura (sopravvivenza), a quello di suo asservimento (dominio), lo denota come strumento ambivalente; ambivalenza che opera ulteriormente nel concetto di dominio, dove l'uomo passa con facilità dal ruolo di soggetto a quello di oggetto. giustamente debernardi lo assimila al pharmakon, rimedio e veleno a un tempo.
è altrettanto evidente che un suggerimento brillante, su dove debba cercarsi l'ambiguità, ce lo dà già il platone del protagora che, anticipando l'esperimento di jekyll, sdoppia prometeo nelle due metà di cui è costituito l'uomo: è l'uomo ad esser doppio, ambiguo, ambivalente.
oltre a questa imbeccata, dobbiamo al mito platonico anche l'idea che la tecnologia sia il remedium iniquitatis, che controbilancia l'oggettiva nostra mancanza di strumenti naturali di difesa.
forse a questo punto andrebbe inserita una riflessione sul linguaggio, il suo ruolo principe nell'economia delle tecniche umane e di quanto e come  partecipi dell'ambiguità dell'essere nostro. la confusione babelica si presta a molte interpretazioni.
la scalata al cielo è comunque una sfida all'ordine naturale in cui si intravede un genere umano in cui i gemelli del mito platonico sembrano già volersi riunire nella figura di quello che sarà l'ulisse della sensibilità preborghese dantesca.
di questo ulisse, la cui hybris temeraria si volge in commendevole spirito di ricerca, è adeguato avvocato francesco bacone, che pure pone, nuove colonne d'ercole, un limite preciso: alla natura si comanda solo ubbidendole.
a questo punto, tutte le coordinate del dibattito odierno sono poste.
sul binomio ubbidienza/comando, martin heidegger distinguerà tra una prima rivoluzione industriale, che utilizza, rispettandola, la natura (il mulino) e una seconda che la domina violentandola (la diga).
sarà invece l'uomo defedato dalla dabbenaggine di epimeteo, il mangelwesen, che dovrà, per arnold gehlen, supplire al proprio essere inerme mediante la cultura, intesa come entlastung, esonero (ex onere) dalla mancanza. 
anche günther anders (stern) ricorre al mito di prometeo per definire lo stato d'inferiorità dell'uomo determinato dalla tecnica, che da mezzo si è fatta fine. 
ne è derivata una situazione di eterno ritardo per cui l'uomo si sente inadeguato rispetto alla macchina (vergogna prometeica) e non sincronizzato con lo sviluppo delle tecnologie (dislivello prometeico).
secondo anders, mentre la prima rivoluzione industriale si è concretizzata nell'invenzione delle macchine e la seconda ha inventato i bisogni, la terza è caratterizzata dal potenziale di assoluto annientamento della bomba atomica.
chiara e senza l'uso di incomprensibili lalie di conventicola, tanto care alla maggior parte dei filosofi nostrani, l'esposizione di massimo debernardi ha stimolato un dibattito, che dalle prime battute prometteva di essere interessante. purtroppo, altri impegni mi imponevano di disertarlo. 
addenda      
ancora sul pharmakon,  il manifesto recensisce (20 aprile) un libro di liora israël, le armi del diritto (giuffré editore) che applica questo concetto alla sfera del diritto, che a tutti gli effetti, come strumento, classifichiamo tra le tecnologie.
il diritto si basa, naturalmente, su principi di classe disinvoltamente spacciati come universali, e da questo punto di vista è illusorio, come notò la scuola americana dei critical legal studies, pensare di utilizzarlo come motore sussidiario del cambiamento sociale.
contro questa ipotesi, e facendo leva soprattutto sulla possibilità di spostamenti simbolici connessa ad un approccio politico al diritto, michael mccan lo ha invece rivalutato come risorsa, e occasione di mobilitazione dei movimenti.
in questo caso il diritto potrebbe opporsi al potere, e segnatamente allo stato, che ne è, poi, la principale fonte. qui sta la sua natura ambivalente.
concordo, segnalando che avviene anche il movimento contrario, e cioè che forme di lotta illegali, come i comitati spontanei di quartiere o l'autogestione del tempo pieno scolastico, una volta istituzionalizzati, ed assorbiti nella sfera del diritto, perdono le loro valenze dirompenti e diventano strumento di conservazione dell'esistente.
ci troviamo ancora alle prese con l'ambiguità di prometeo che si sdoppia in epimeteo, mito che restituisce al soggetto la pretesa natura dialettica della realtà.
la dialettica, che dall'empireo hegeliano karl marx ha riportato, con un'elegante capriola, sulla terra e giovanni gentile ha riconsegnato all'originaria inquietudine eraclitea, è la materia con cui fabbrichiamo i nostri strumenti.



  
   

passeggiata al broletto

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