terza passeggiata

ACHTUNG BANDITI!
Torniamo sui nostri passi, e raggiunta nuovamente la prima sala ci soffermiamo su un piccolo quadro che già aveva attirato la nostra attenzione: Sentinella garibaldina di Girolamo Induno.
A tutta prima, con mantello, schioppo e cappello a pan di zucchero, il personaggio raffigurato poteva sembrare un classico brigante, e solo l’attenta lettura della targhetta informativa illumina sui suoi effettivi meriti patriottici.
Era evidentemente, questa che vediamo, l’abituale tenuta, da caccia o da lavoro, che la gente del sud  indossava per affrontare, magari con la prospettiva di pernottamenti all’addiaccio, la campagna o la montagna.
Nulla di strano che fosse diventata, dunque, la divisa improvvisata dei picciotti accorsi ad ingrossare le fila garibaldine che, dai poco più di mille imbarcati a Quarto, contano, alla fine della spedizione, oltre quindicimila uomini.
E come uniforme funzionale al darsi alla macchia, verrà adottata, subito dopo, da quei  contadini poveri, aspramente delusi dagli esordi dello stato unitario, che salgono sulle montagne per farsi, come si usa dire, briganti.
È questo un fenomeno poco indagato, stretto com’è tra apologetica locale ed encomiastica unitaria, ma le cifre e i modi della repressione fanno riflettere: circa un milione di morti, oltre cinquanta paesi rasi al suolo, esecuzioni sommarie e deportazioni di massa al forte di Fenestrelle (nella foto). 
Per reprimere il fenomeno furono mobilitati più soldati di quanti ne erano occorsi a Garibaldi per combattere l’esercito borbonico (oltre ventimila), affidati al comando dei migliori generali piemontesi (Cialdini, La Marmora. Cadorna). Ma malgrado ciò, non si riuscì ad averne ragione in tempi brevi (Musolino sarà catturato nel 1901).
L’apparenza esteriore può dunque ingannare e far prendere per brigante, un garibaldino.
È quel che capita, nel pirandelliano I vecchi e i giovani, al patriottico Mauro Mortara, accorso, armato di tutto punto e con le sue quattro medaglie appuntate sul petto, per battersi a fianco della forza pubblica impegnata a domare l’insurrezione dei Fasci (1893).
 Tratti in inganno da abbigliamento e armamentario, i soldati non esitano a crivellarlo di colpi, per  accorgersi delle sue decorazioni solo quando, a scaramuccia terminata, ne rivolteranno il cadavere.
Ma al di là dell’errore determinato dall’abbigliamento, la figura del bandito è predisposta all’equivoco anche dal punto di vista del giudizio morale, complice una lunga tradizione letteraria che dai Masnadieri di Schiller e all’Ernani di Hugo e Verdi, arriva via via a Arsenio Lupin, Fantomas e Zorro, per non dire di Robin Hood, costruendo l’archetipo del bandito/ribelle, protagonista di una rivolta – sociale o sdegnosamente individuale – ma sempre tesa a ristabilire una giustizia violata.

Al tentativo letterario di nobilitare il criminale, fa da controcanto l’immancabile tentativo, da parte del potere di criminalizzare il dissenso, l’opposizione, la ribellione.
Che importa se ci chiaman banditi?
Il popolo conosce i suoi figli.
Vedremo i fascisti finiti,
conquisteremo la libertà.

Ed è la vicinanza temporale con questi avvenimenti, che, nel film Salvatore Giuliano di Francesco Rosi (1962), suscita il dubbio a un giovane carabiniere.
Strisciando alle pendici delle colline di Montelepre, sotto il fuoco dei mitra degli uomini di Giuliano, il milite ha evidentemente un déjà vu e quella situazione lo riporta ad avvenimenti recenti. Si rivolge, perciò ad un commilitone per domandargli: - Ma sono banditi o partigiani?
E se in quel caso, di banditi certamente si trattava, non è detto che la definizione fosse applicabile a tutti i combattenti dell’EVIS.
Uno di loro, per lo meno, era stato partigiano per davvero.
Antonio Canepa, alias Mario Turri è professore all’Università di Catania. Specialista di mistica fascista, è uno dei pochi, se non l’unico autore italiano ad essere pubblicato sulla rivista teorica del Partito Nazionalsocialista. In realtà ha aderito al partito comunista clandestino e fa attività cospirativa.
Nel 1932 tenta, nella Repubblica di San Marino, un colpo di mano che, nei suoi intendimenti, dovrebbe avere risonanza internazionale, utile per richiamare l’attenzione mondiale sull’antifascismo italiano.
Il progetto, in cui è coinvolto anche Giulio Biglieri, fallisce, e Canepa viene arrestato.
Il professore simula allora la follia e, probabilmente sulla scorta dei suoi precedenti accademici, viene creduto. Dopo un periodo di cura, viene reintegrato nel suo incarico.
Al momento dello sbarco alleato collabora con i servizi d’informazione inglesi e organizza l’attentato dinamitardo all’aeroporto di Gerbini (CT), in mano ai tedeschi.
Si fa successivamente paracadutare al nord, dove combatte in una formazione di Giustizia e Libertà.
Dopo la Liberazione, indipendentista convinto, aderisce all’EVIS e ne comanda una formazione. Muore in uno scontro a fuoco con i carabinieri, avvenuto in circostanze poco chiare nei pressi di Randazzo, il 17 giugno 1945.
Brigante o garibaldino?