quarta passeggiata

LETTERE SEGRETE
Nella sesta sala La lettera del vigezzino Enrico Cavalli ci richiama a tema di tristissima attualità.
È, questo della lettera, un soggetto assai diffuso in pittura, e lo si potrebbe anzi definire un’esercitazione  di scuola, per via di quella quasi immancabile illuminazione laterale che permette all’artista di dar prova della propria abilità nel trattare luci ed ombre.
Ma è tema antico anche in virtù del fatto che la lettera è il facile simbolo di un cambiamento di situazione, così come ci insegna la teoria della comunicazione, che si presta a mettere alla prova la capacità del pittore di tradurre in espressione uno stato psicologico.
Con il Romanticismo, la lettera – quale lettera d’amore – viene consegnata alla dimensione intima, che si vuol affermare, di questo sentimento. Ma un precedente biblico propone un’interessante commistione tra desiderio e potere.
Celebre, nella versione di Rembrandt collocata al Louvre, ma che qui vediamo invece nell’esecuzione di Jan Steen (1626 – 1679), la scena in cui Betsabea riceve la lettera di Davide.
Nell’area fiamminga, la libera interpretazione delle Scritture, concessa dalla Riforma, permetteva questa traduzione metaforica del desiderio del re, ma in realtà la Bibbia non fa alcun cenno a questa missiva.
La lettera che Davide, dopo aver cercato invano di indurre Uria l’Hittita, legittimo sposo della donna, a derogare dai suoi doveri di soldato e a trascorrere la notte sotto il tetto coniugale, allo scopo di falsare le responsabilità dell’ormai acclarata gravidanza di Betsabea, è ben altra. 
Racconta Samuele [2. 11]: La mattina dopo, Davide scrisse una lettera a Ioab e gliela mandò per mano di Uria. Nella lettera aveva scritto così: «Ponete Uria in prima fila, dove più ferve la mischia; poi ritiratevi da lui perché resti colpito e muoia».
La lettera di Davide non è dunque messaggio d’amore, bensì di morte, due termini del resto frequentemente associati.
A recapitare la sentenza della condanna a morte è lo stesso condannato, secondo un abusato copione che ci rimanda a Bellerofonte, latore di sigillate funeste cifre nel libro VI dell’Iliade.
In epoca romantica la lettera diviene il deus ex machina che intriga o scioglie l’intreccio di una struttura immutabile e abusata di amori avversati, sfortunati o clandestini.
Sempre più segreta, talvolta è addirittura cifrata, come quella che, per molto tempo, venne falsamente attribuita, destinatario De Musset, a George Sand:
Cher ami, 
Je suis toute émue de vous dire que j'ai
bien compris l'autre jour que vous aviez
toujours une envie folle de me faire
danser. Je garde le souvenir de votre
baiser et je voudrais bien que ce soit
une preuve que je puisse être aimée
par vous. Je suis prête à montrer mon
affection toute désintéressée et sans cal-
cul, et si vous voulez me voir ainsi
vous dévoiler, sans artifice, mon âme
toute nue, daignez me faire visite,
nous causerons et en amis franchement
je vous prouverai que je suis la femme
sincère, capable de vous offrir l'affection
la plus profonde, comme la plus étroite
amitié, en un mot : la meilleure épouse
dont vous puissiez rêver. Puisque votre
âme est libre, pensez que l'abandon ou je
vis est bien long, bien dur et souvent bien
insupportable. Mon chagrin est trop
gros. Accourrez bien vite et venez me le
faire oublier. À vous je veux me sou-
mettre entièrement.
Votre poupée
L’ottocento è però anche l’epoca dei grandi romanzi di cappa e spada, dove, se i re di Francia detengono il privilegio delle lettres de cachet, ad abusarne sono invece spesso imprudenti regine, che debbono poi ricorrere alla generosa dedizione dei moschettieri per cavarsi d’impaccio. E qui l’amore torna a intrecciarsi con la politica, come vedremo più avanti.
Fino al 900 vi è comunque un lungo lasso di tempo, prima che la diffusione del telefono torni a incoraggiare l’analfabetismo, in cui il rapporto epistolare è l’unico strumento popolare di comunicazione a distanza.
Miseria e paura, emigrazione, guerra, dittatura e deportazione separano le famiglie che, quando possono, si tengono in contatto scrivendo.
La lettera si sottrae allora, sia pure raramente, anche in pittura, alle ristrettezze di genere dell’epistolario galante. La famiglia di sole donne e bambini di Marguerite Gérard (1761–1837) è, malgrado lo iato temporale, assolutamente simmetrica a quella, di soli uomini adulti, di Pablo Picasso. 
Si ricevono notizie da casa e a casa se ne inviano. Talvolta le ultime:
8 Febbraio 1944
Caro fratello Giovanni,
Scusami se dopo tutto il sacrificio che tu hai fatto per me mi permetto ancora di inviarti questa mia ultima lettera. Non posso nasconderti che fra mezz’ora sarò fucilato; però ti raccomando le mie bambine di dar loro il migliore aiuto possibile. Come tu sai che siamo cresciuti senza padre e così volle il destino anche per le mie bambine. T’auguro a te e tua famiglia ogni bene, accetta questo mio ultimo saluto da tuo fratello Giuseppe
di una cosa ancora ti disturbo: di venire a Novara a prendere il mio paltò e ciò che resta
Ciao tuo fratello Giuseppe.

[Giuseppe Bianchetti. Fondo Zaretti. Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola "Piero Fornara" – Novara. Vai al Database INSMLI delle lettere dei condannati a morte]
Nel poscritto, in cui si dispone del modestissimo patrimonio, la lettera assume forma testamentaria, ed è singolare come, nel percorso fin qui seguito, venga rispettata, grosso modo la concatenazione dell’infantile formula per le penitenze: dire, fare, baciare, lettera, testamento.
Del dire e del fare, in verità, stante la genericità del loro predicato, nulla si è detto. Ma qui rimediamo in parte occupandoci di quell’accezione del fare da cui deriva il termine faccendiere.
La lettera di presentazione, dello scozzese David Wilkie è stata dipinta nel 1814. Rappresenta una scena allora abbastanza comune: un giovanotto è stato introdotto alla presenza di un anziano signore, di cui nulla sappiamo, ma che, a giudicare dagli arredi che lo circondano, deve occupare un’elevata posizione sociale. Berretta e vestaglia ci informano che la lettera ha dato immediato accesso alla dimensione, per così dire, intima dell’illustre personaggio.
Nel passato i giovani di buona famiglia che, in viaggio d’istruzione o alla ricerca di un’occupazione, si recavano in una città lontana, erano sempre muniti di opportune credenziali con cui presentarsi a lontani parenti o antichi amici di famiglia.
Nel XIX secolo questa era una pratica comune, come ci informa, con doviziosi esempi la coeva letteratura, e ricordiamo – valga per tutti – la presentazione del principe Miškin in casa Epancin.
L’uso – che mette alla prova consistenza e vastità delle relazioni famigliari –  si riallaccia ad un’istituzione antica, che nuovamente ci porta al canto VI dell’Iliade, e all’incontro di Glauco e Diomede.
Ci si potrebbe chiedere se di queste prassi, delle quali mai ebbe bisogno il Gotha, di sangue o di mezzi, le cui strettissime relazioni sono consustanziali alla nascita, abbia una qualche forma di sopravvivenza oggi, quando si stanno perdendo le tracce di quella classe media di cui furono appannaggio.
Perfino nelle nostre angustie mediterranee ci eravamo illusi che quel suo volgare isotopo, rappresentato dalla lettera di raccomandazione, fosse stato consegnato agli archivi in bianco e nero dell’Italia del boom, insieme a tutto il cast di commendatori e arrampicatori sociali della commedia all’italiana.
Ci eravamo sbagliati, recenti casi di cronaca ci hanno edotto circa la sopravvivenza di questo fenomeno di malcostume e della segreta onnipotenza di oscuri e (s)pregiudicati personaggi.
Ma, rispetto agli anni ’60, una differenza c’è. Mentre allora la raccomandazione permetteva ai giovani di buone speranze di accedere, magari partendo dalla gavetta, ai ranghi di imprese private, tutto sommato responsabili dei propri bilanci, oggi la pratica garantisce remunerate sinecure, a spese della collettività, nelle pubbliche amministrazioni.
Bukingham nelle figurine della Perugina

In conclusione torniamo a D’Artagnan, che avevamo lasciato a destreggiarsi in perigliose imprese, allo scopo di trarr d’impaccio l’imprudente Anna d’Austria.
Eco di quest’eco di fatti storici è pure The Purloined Letter (1845) di Edgar Allan Poe.
La trama è nota: una dama d’altissimo lignaggio riceve una lettera, del cui contenuto nulla mai sapremo, che potrebbe rovinare la sua reputazione agli occhi del consorte che, neanche a farlo apposta, entra in scena proprio in quel momento. Non priva di sangue freddo, la nobildonna appoggia sul tavolo, con nonchalance, la missiva, di cui resta visibile solo l’indirizzo.
In quel momento fa il suo ingresso un ministro dotato di diabolico acume e analoga morale, che avverte nell’aria un vago sentor d’imbarazzo. Un’occhiata alla lettera, abbandonata sulla scrivania gli basta per indovinare l’arcano.
Entra, fulmineo, in azione e, tratta di tasca una lettera simile alla precedente, fa il verso di leggerla, poi la pone accanto all’altra. Quindi, dopo una serie di battute, che hanno lo scopo, più che di distrarre, di mostrarsi distratto, intasca, fingendo di sbagliare, la lettera destinata alla dama. Costei, che non ha perduto un particolare della sceneggiata, non può fiatare per non richiamare l’attenzione dell’augusto consorte sull’oggetto di quelle manovre.
Attivati i servizi segreti, lo studio del ministro, che per favorire l’opera esce tutte le sere, viene minuziosamente perquisito, ogni notte, per tre mesi, ma – nonostante la polizia operi con la scrupolosa perizia degli odierni RIS – non si cava un ragno dal buco.
Il prefetto, sconfortato, chiede l’aiuto dell’astuto Dupin che intuisce subito che se la lettera non si trova, è perché non è nascosta.
Fattosi introdurre nello studio del ministro, lo sguardo dell’investigatore, celato dalle verdi lenti dei suoi occhiali, non tarda ad individuare una carta spiegazzata in bella mostra in un portacarte. È quel che cerca, si congeda quindi dall’ospite, fingendo di dimenticare la tabacchiera.
Tornato a riprendere l’oggetto, Dupin approfitta della distrazione del ministro, la cui attenzione è richiamata da un incidente, opportunamente organizzato nella strada sottostante, per sostituire la lettera ambita, con un’altra simile, su cui ha vergato un beffardo messaggio.
Questo, l’essenziale. Nel 1955 Jacques Lacan dedica un seminario al racconto di Poe.
Analizzando le due scene in cui si articola il racconto, Lacan individua questa struttura:
a chi non vede niente: a1 il re, a2 la polizia;
b chi vede di non essere visto: b1 la regina, b2 il ministro;
c chi vede tutto: c1 il ministro; c2 Dupin.
Nel momento in cui la lettera torna in possesso del legittimo destinatario, il ministro non sa che gli è stata sottratta, Dupin sa che il ministro non sa di essere stato beffato, e la dama torna padrona della situazione, potendosi permettere senza tema, ove lo desiderasse la sua vendetta sul ministro ormai sguarnito di atout. Possiamo quindi completare lo schema lacaniano con la terza figura: ail ministro, b3 Dupin, c3 la regina.
In questo schema i personaggi ruotano come le figurine delle slot machine, disponendosi nelle varie caselle in modo per nulla casuale, giacché, partendo dall’ultima riga, è evidente che ognuno risale di un posto ad ogni scena, abbandonandola, per risalire dal basso, quando raggiunge il primo posto.
Questo ci permette di spingere più i là la storia di Poe. Nella scena successiva, la struttura dovrebbe essere questa: aDupin, b3 la regina, c3 la polizia.
Che così si può sciogliere: Dupin, come molti di coloro che coprono imbarazzanti segreti dei potenti, è diventato un testimone scomodo, e non vede via d’uscita. La regina può tramare a suo piacimento, ora che il suo segreto non è più visibile. Solo il prefetto di polizia ha visto tutto, e attende.
Fino ad arrivare al gran finale: ala regina, b5 la polizia, c5 il re. Ovvero:
La regina è ormai smascherata e non vedrà l’alba. La polizia ha lavorato, non vista, per ristabilire la verità. Il re, messo al corrente, tutto vede, e provvede.
Si tratta, evidentemente, solo di un gioco, che, per rimanere in tema con l’oggetto di queste note, propongo di applicare a questa storiella.
Avidi banchieri scrivono una lettera a un compiacente governo, affinché si incarichi di spacciare, al suo ignaro popolo, un’enorme panzana, onde ascrivere allo stentato tenore di vita popolare la responsabilità del disastro provocato dalla loro ingordigia. Coperti dalle interessate falsificazioni di stampa, industria e opposizione domestica, il governo spara la balla e la gente ci crede.
Lo schema è questo:
a chi non vede niente: a1 il popolo;
b chi vede di non essere visto: b1 il compiacente governo;
c chi vede tutto: c1 gli avidi banchieri.
Cosa succederà all’ultimo passaggio?