sabato 2 giugno 2012

alla barriera albertina





La fotografia di Ghigo è indubbiamente un fatto artistico, la valutiamo compiutamente nelle sue ricerche sulle foglie autunnali, dove  forma, sfondo e colore vanno a compitare un a sé semantico che divorzia tanto dal significante che dal significato originale per farsi oggetto di immediata fruizione estetica.
Naturalmente, tutta la fotografia di Michele Ghigo è così, e pertanto di competenza del critico d'arte.
Io, però, ho un debole per la fotografia quale documento, storico, sociale, antropologico, culturale, e pertanto vado a cercare nel  contenuto delle sue opere un al di là della forma.
Anche da questo punto di vista la mostra è ricca.
D. Masclet, La maison Lachaud, Paris, Centre Poumpidou
Rara, probabilmente unica, e per mie ragioni commovente, l' immagine, nello stile di Daniel Masclet, della bottega del fotografo Bolzoni. La bottega di questo su-perbo ritrattista era posta in un cortile della via Negroni, più o meno in uno degli spazi oggi occupati dal negozio Il cortile. Ogni mattina l'anziano fotografo ap-pendeva sul corso Cavour tre splendidi ritratti di altrettanto splendide donne.
Di questo vero maestro non sono rimaste molte tracce (potrebbe, in realtà, esserci qualcosa nelle collezioni di Remigio Bazzano), in ogni caso una copia di questa fotografia di Ghigo andrebbe depositata presso l'istituto storico cittadino.
Anche tutta la sequenza de il ramaio costituisce un raro documento di storia del lavoro, che necessita dell'interessamento di una pubblica istituzione.
Michele Ghigo, il ramaio, 1964

La stessa considerazione va fatta, naturalmente, per l'assaggiariso, e per molta produzione di Ghigo, anche di quella non rappresentata in questa mostra.
Michele Ghigo, piccola zingara, 1958

Su questa zingarella, più o meno mia coetanea, mi sono soffermato a lungo, e non escludo di tornane ancora a parlare.
Siamo nel 1958, quando ancora si poteva fotografare un minore senza rischiare il linciaggio e senza farsi firmare liberatorie dai genitori. Una fortuna, senza cui non avremmo questo documento.
È una piccola sinti - etnia praticamente stanziale in Piemonte fin dal XV secoloo forse, se i paioli che si intravedono attorno ci informano correttamente, appartiene all'etnia dei rom kalderasha, di abitudini meno sedentarie.
In ogni caso, una razza fiera - come è fiero lo sguardo di questa bambina - magari allegramente disonesta, ma poco incline alle piagnucolose geremiadi a cui ci hanno abituato oggi i loro cugini della diaspora dell'est.
Indispettito dall'intrusione, il gavroche in gonnella - una vera birba - guarda severamente il fotografo, ma l'angolo sinistro della bocca è già pronto a distendersi in un sorriso.
In quei tempi, quando anche noi eravamo più poveri, e con meno miserie da difendere, le occasioni di dialogo restavano aperte.


Michele Ghigo, il caffè degli aristocratici, 1968

L'anno della ripresa e il titolo assegnato concorrono a fare di questa fotografia un documento di satirica critica sociale.
È una vignetta degna di Grosz, alla quale poco si  può aggiungere.
Bisogna però notare che volti, gesti e ambientazione formano un insieme unico, difficilmente replicabile, se non ricorrendo a una sceneggiatura completa di casting.
Tale considerazione ci impone di rivedere e integrare le battute iniziali di queste note.
Evidentemente, oltre alle dette qualità di artista, a Ghigo va riconosciuto anche un notevole talento da reporter.
Dalla mostra si esce soddisfatti per quel che si è visto, e curiosi di vedere quel che non c'è.
Per Michele Ghigo è giunto il tempo di una grande mostra antologica, con adeguato catalogo, e gli organismi deputati alla capitalizzazione delle risorse culturali cittadine, se ancora ci sono, debbono prenderne nota.