lunedì 23 novembre 2020

Raffaello Giolli

 

Nacque ad Alessandria il 3 aprile 1889. Frequentò il ginnasio a Milano e il liceo a Novara. Appassionato sin da ragazzo di storia dell'arte si iscrisse all'Università di Pisa, conseguendo poi la laurea a Bologna. A Milano iniziò a collaborare, dal 1908, alla rivista Rassegna d'arte.

La sua attenzione si rivolse soprattutto alla pittura lombarda e, più in generale, italiana, dell'Ottocento e del Novecento, a suo parere ingiustamente sottovalutata rispetto alle esperienze impressioniste e post-impressioniste dell'arte francese.

Fervente interventista, non riuscì tuttavia a partire per il fronte nonostante ripetuti tentativi, ma seguì nei suoi articoli su Pagine d'arte, dal gli eventi bellici attraverso un'accurata cronaca dell'arte di guerra che comprendeva le opere degli artisti impegnati al fronte. 
Questa attività lo collocava oggettivamente vicino al movimento futurista, senza mai aderirne in pieno alle esaltazioni etiche. Le sue riserve nei confronti del gruppo di F.T. Marinetti, colpevole ai suoi occhi di allontanare con il chiasso e la spettacolarità degli interventi il pubblico dall'arte contemporanea, non gli impedirono di riconoscere il valore di alcune personalità – come, ad esempio, Boccioni – appartenenti a quella corrente, pur non condividendone i manifesti in cui veniva dissacrato e rifiutato il passato che per Giolli, che pur detestava lo storicismo d’accademia, rappresentava l'elemento attraverso il quale conoscere il presente e il futuro.

Nel 1919 partecipò alla fondazione a Milano del Circolo d'alta cultura che, anche grazie alla sua attività, assunse un importante ruolo nelle vicende culturali di quegli anni Nello stesso anno iniziò a curare una rubrica d'arte sul quotidiano milanese «La Sera »pubblicando, tra l'altro, una serie di articoli sulla I Biennale internazionale delle arti decorative allestita nel 1923 nella villa reale di Monza.

Amico di Edoardo Persico, di cui condivideva le idee di rinnovamento dell’architettura, nel 1926 scrisse un saggio, mai completato, Architettura alla garçonne (il cui manoscritto, in gran parte, fu probabilmente disperso durante la perquisizione che accompagnò il suo arresto nel settembre del 1944) in cui criticava il nazionalismo architettonico di radice risorgimentale, schierandosi apertamente al fianco delle più aggiornate ricerche europee e contro l'accademismo coltivato dal regime fascista.

Nel 1927   anno fondò quella che può considerarsi la prima rivista italiana di arte contemporanea, di cui fu direttore ed editore, nata come un bollettino dal nome 1927. Problemi d'arte attuale, trasformatasi poi in 1928, 1929, e divenuta, dal novembre del 1929, Poligono.

Non fu una rivista di tendenza e ciò gli permise di pubblicare opere tra loro eterogenee. 1928 fu la prima rivista a dar credito agli architetti del Gruppo 7, fino ad allora quasi ignorati o contestati dalla pubblicistica nazionale.

Dal 1925 insegnò per quindici anni, a Milano, all'Accademia libera di cultura e arte.

Con l'istituzione della cattedra di storia dell'arte introdotta dalla riforma Gentile, fu chiamato a insegnare nei licei statali milanesi Berchet, Parini, Beccaria, fino a quando non ne fu allontanato perché rifiutò il giuramento fascista.

Dal 1929 iniziò a occuparsi anche di cinematografia, inserendola, per la prima volta in Italia, a pieno diritto tra le arti. A partire dalla metà degli anni Trenta la sua attenzione si rivolse sempre più verso l'architettura. Dal 1935 all'aprile del 1940 suoi articoli furono pubblicati sulle riviste «Domus» e «Casabella», in quest'ultima, nel 1936, successe a Edoardo Persico nella cura della rubrica Architettura mondiale


Nel luglio del 1940 venne arrestato dall'OVRA e internato con il figlio Paolo fino al febbraio del 1941, poi gli fu imposto il domicilio obbligato a Senago. Tornò, quindi, nella casa di famiglia a Vaciago dove si dedicò alla stesura del libro La disfatta dell'Ottocento.In questi anni mantenne la collaborazione con «Casabella» e «Domus», mentre i suoi articoli furono rifiutati dal «Corriere della sera». Continuò nella sua attività antifascista, e fu vicino al movimento partigiano della Val Tornato a Milano, cercò di formare un gruppo di lotta costituito per la maggior parte da artisti e intellettuali. Con nome di battaglia  "Giusto" collaborò regolarmente a giornali clandestini di propaganda politica, tra i quali l'«Avanti!». Il 14 settembre 1944 fu arrestato con la moglie e il figlio Federico dalla legione Muti, venne torturato e trasferito nei primi giorni di ottobre nel carcere milanese di S. Vittore.

Fu successivamente deportato a Mauthausen, dove morì al campo Gusen 2 nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1945.