domenica 16 dicembre 2012

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sabato 15 dicembre 2012

Egidio Bonfante

egidio
bonfante     






Egidio Bonfante nasce a Treviso nel 1922.
Ancora bambino si trasferisce a Novara.
Grafico e pittore, tra i fondatori del gruppo di Posizione, collabora a lungo con la Olivetti.
Muore nel 2004.
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Andrea Fortina

andrea
fortina


Andrea Fortina è nato a Novara nel 1960.
Vive e lavora a Roma. http://www.andreafortina.it/




Eliana Lorena. Unico








giovedì 13 dicembre 2012

re-reading

new reading


nanniomodeozorini
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domenica 16 dicembre
ore 16.00
cerco il tuo sorriso

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CIRCOLO 25 APRILE
vicolo s. giacomo 4
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domenica 2 dicembre 2012

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Cerco il tuo sorriso

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presentazione intervista e monologo
 NANNI OMODEO ZORINI

venerdì 16 novembre 2012

perché fallirà la SUN, perché fallirà la FIAT, perché fallirà l'Italia


La SUN, azienda cittadina del trasporto urbano è in deficit. Recentemente ha lanciato una campagna (non è la prima) per tentare di scoraggiare chi sale a bordo senza biglietto, ma non c'è da farsi illusioni, questo è un problema irrisolto di tutte le epoche e di tutte le città del mondo.
Certamente l'evasione era minore quando a bordo c'era il bigliettaio, ma sappiamo com'è andata, l'idea di ridurre quella voce del costo del personale era sembrata irresistibile.
Resta da vedere, ora che l'età della pensione viene ritoccata verso l'alto, cosa ne farà la SUN dei suoi dipendenti troppo anziani per mettersi alla guida. Potrebbe, magari, licenziarli, l'articolo 18 è stato tolto apposta.
L'idea che ridurre i costi sia più o meno come  aumentare i ricavi è quella che adottiamo tutti noi per far quadrare il bilancio familiare, rinunciando, di volta in volta, al giornale, alle sigarette o alla partita, mano a mano che aumenta l'affitto, la bolletta del gas o il prezzo della benzina, mentre lo stipendio resta al palo. Noi lo facciamo così, alla buona, ma per l'economia, quella vera, ad inventare questo metodo si sono scomodati dei premi nobel.
Resta da vedere se funziona, io, per esempio, raramente, ogni volta che approdo a una nuova rinuncia mi sento più signore di prima. Può darsi che per le aziende sia diverso.
La seconda trovata dei premi nobel per aumentare i ricavi, è  - chi ci avrebbe mai pensato? -  quella di aumentare i prezzi a prescindere da quel noioso vecchiume della legge della domanda e dell'offerta.
Come si vede è l'uovo di colombo, se raddoppio i prezzi è come se raddoppiassi le vendite.
La cosa, naturalmente funziona se vendo beni essenziali (cibo, acqua, riscaldamento) e non a caso i padroni del vapore si sono gettati a pesce sulle privatizzazioni dei settori alimentare ed energetico e già pregustavano - frustrati, ahimè,  da un provvido referendum - quella dell'acqua. Se però vendo paperelle di plastica, è probabile che al raddoppio dei prezzi corrisponda il dimezzamento degli acquirenti.
Comunque sia, la SUN ha applicato anche questo rimedio, e quest'estate ha aumentato le tariffe del 30% (quindici volte il preteso tasso d'inflazione), senza migliorare di nulla il servizio, anzi!
Il fatto che, poco dopo, abbia dovuto indire la crociata contro i portoghesi, mi induce a credere che l'aumento delle tariffe non si sia rivelato salvifico per i bilanci.
La questione è da studiare.
Chi viaggia abitualmente in autobus sa che attualmente la SUN lavora, a parte trascurabili eccezioni, esclusivamente per chi non può fare a meno del servizio pubblico, vale a dire chi è ancora troppo giovane per usare l'automobile, chi è già troppo anziano per usarla ancora, chi è troppo povero per possederla.
Dal punto di vista del fenomeno dell'evasione, gli anziani, per un sistema agevolato di tariffe e maggior senso civico, ne sono indenni.
I giovani, per l'avversione endemica, in quella fascia d'età, ad un sistema di regole che rappresenta la società dei padri, producono una quota rilevante degli scrocconi, ma per la motivazione che li muove, nessun tipo di repressione, neppure la galera, potrà produrre sensibili effetti.
I poveri, infine, spesso non pagano il biglietto perché non possono pagarlo (e tacciano quelli che trovano incredibile che non si trovino 30 euro al mese per l'autobus, 60 per la mensa scolastica, 8,50 per l'assicurazione e così via, più quelli per l'affitto, la luce, il gas e la spesa quotidiana. Tacete, merde!)
L'azienda lo sa, tant'è vero che intensifica i controlli dopo la fatidica terza settimana, quando sa che la penuria di liquido può indurre più facilmente all'escamotage.
Può darsi che, a furia d'insistere, l'abbia vinta, ma non nel senso di indurre i riottosi a cacciare del denaro che non posseggono, bensì  convincendoli ad andare a piedi, con ampia soddisfazione morale, ma scarso tornaconto aziendale.
Insistere su questo versante significa quindi, aggiungere ai costi dell'evasione quelli della campagna antievasione.
L'alternativa sarebbe quella di aumentare i clienti paganti. E non è che non ce ne siano gli spazi.
Prendiamo, per esempio la scuola elementare. Nelle ore di uscita e di entrata le strade sono intasate di automobili di mamme e babbi che accompagnano i loro figli. Eppure quasi tutte le scuole sono sul tracciato di una linea urbana, con la fermata lì a due passi.
Sono oltre cinquemila, a Novara, i bambini che frequentano una scuola primaria, se solo il 20% si decidesse ad usare l'autobus, ne deriverebbero, malcontati, maggior introiti per 500 mila euro all'anno.
Ma guardo gli orari di arrivo e partenza alla fermata davanti alla mia scuola.
La mamma dovrebbe arrivare mezz'ora prima del suono della campanella e potrebbe ripartire con il bambino solo mezz'ora dopo l'uscita. Su un tragitto di un quarto d'ora, trenta minuti in tutto tra andata e ritorno, i tempi sono triplicati, la prospettiva non è appetibile per nessuno.
Gli orari, infatti, sono compilati non su i bisogni dell'utenza, ma per ottimizzare le risorse, tradotto: pagare meno gente possibile.
Così la SUN risparmia, ma non cresce, e il debito continuerà giocoforza ad aumentare fino al fallimento.
Non è che Martinoli - e altri, prima di lui - abbia inventato qualcosa, sono ricette di economia quantitativa, ormai vecchiotte, ma ancora in auge. con fior di pedigree accademico. 
Il professor Monti le ha applicate all'intero paese, anch'esso di conseguenza lanciato verso un inevitabile fallimento.
Anche quel genio di Marchionne le applica, convinto che per rilanciare la fiat sia del tutto inutile progettare, produrre e vendere automobili, ma che basti risparmiare sul costo del lavoro.
Vedremo come andrà a finire, nel frattempo, chi crede a quei due imbecilli e ai loro imitatori, dovrebbe registrarsi su un apposito albo, per poter fare i conti dopo.










   

venerdì 2 novembre 2012

interrogativo


Ma perché non se ne vanno?

Francesco Diotiallevi, Re nudo










Ringrazio il fatto di non essere residente a Novara, sono stato perciò dispensato dal votare, per disciplina di partito (un parente povero della cui opinione a nessuno importa), l'attuale giunta che, dopo dieci anni di dominio leghista, ha riportato un sindaco democratico a governare la città.
Se non lo avessi letto sul giornale, di questo evento epocale, che data ormai da un anno e mezzo, non me ne sarei mai accorto.
Nessuna soluzione di continuità sembra infatti aver separato la precedente conduzione leghista della città, da quella attuale.
Si fanno le stesse cose che si sono sempre fatte, comprese (vedi parcheggio sotterraneo ) quelle che, esplicitamente, in campagna elettorale, si diceva che non andavano fatte.
Assessori e consiglieri scoprono, a ogni pie' sospinto, di essere vincolati ai progetti, ai debiti e agli ammanchi di chi li ha preceduti, rivelando, con insospettato candore, un assoluta carenza di informazione sulle prassi amministrative e suscitando sospetti sull'attenzione con cui, quando furono all'opposizione, ebbero a vigilare sulla gestione di Giordano e soci.
A tutt'oggi è poco chiaro al cittadino novarese se il centro sportivo del Terdoppio costi meno aperto, o chiuso, oppure se non convenga farlo saltare in aria con la dinamite.
Ci sono stati, invero, dispendiosi ricorsi al Consiglio di Stato, che nulla hanno sortito, e si è parlato di trasmissione degli atti alla Procura e alla Corte dei Conti, ma con le prescrizioni brevi imposte dal trascorso governo della malavita, dubito che tali adempimenti possano approdare a una riparazione concreta del danno.
Eppure ci sarebbe stata, forse, per un'opposizione maggiormente attenta, occasione più tempestiva e produttiva di denuncia, in quei tempi in cui l'ingenuo Gianni Barletta peregrinava, con un voluminoso dossier, dall'uno all'altro dei dirigenti pd, ricevendone in cambio pacche sulle spalle e un cane per mano.
Anche a proposito delle disinibite capacità amministrative di una sopravvalutata étoile autoctona, si sono diffuse voci poco rassicuranti. Ma a questo proposito, occorre dire subito che  la differenza tra maggioranza e operazione qui non può essere tirata in ballo: c'era un consiglio d'amministrazione che deve rispondere in solido delle sue scelte.
Infine, su iniziativa di un ingegnere forse un po' infiammabile, si sono messi in dubbio i titoli di merito del nuovo direttore del Brera. Nella bufera che ne è seguita - e che, per qualcuno, trarrebbe credito dalla tradizionale idiosincrasia indigena nei confronti di chi arriva da fuori - le iscrizioni a quello che fu un prestigioso istituto, languono. Il sindaco, che a lungo è stato membro del consiglio d'amministrazione di quell'ente, non ha ritenuto opportuno pronunciarsi.

Eppure, a ben pensarci, della mutata condizione di certi personaggi politici locali, ce ne si doveva ben accorgere, anche solo nell'incrociarli per via. Sono perennemente incollati al telefonino, per evidenti indifferibili affari attinenti il loro ufficio, e agitano la mano di lontano in un gesto di saluto che è, al tempo stesso, congedo e supplice invito a non volerli importunare, con quelle chiacchiere che pur sarebbero felici di ascoltare, se non vi si opponesse la tirannia di un loro  tempo, irrimediabil-mente risicato dalle ragioni della ragion di stato.
Questo atteggiamento - molto differente dalla popolare affabilità dei passati amministratori leghisti - si spiega in gran parte col fatto che questi sono antipatici per parte loro, e  tali dovevano essere anche nella più tenera infanzia.
Ma a questo dato caratteriale si associa anche la diligente compitazione delle lezioni del professor Monti e consorti, i quali - con il beneplacito di gran parte del parlamento - nei modi e nei toni non fan mistero di esser certi che la politica, o comunque la si voglia chiamare, non è più cosa che possa decidersi in ambito pubblico, e men che mai che possa essere, non dico condizionata, ma anche solo interessata al parere della gente comune.
Si tratta di cose difficilissime e segrete nelle quali non deve mettere il becco chi non è addetto ai lavori. La democrazia resta, come esercizio di stile, ma in un contesto dove, chi decide trova la legittimazione non dal basso, col voto, ma dall'alto, con l'investitura di poteri forti transnazionali.
In attesa di far carriera, i nostri amministratori locali cominciano ad imparare gli atteggiamenti esteriori, anche se, chi li conosce anche solo un pochino, dubita che essi siano capaci di occuparsi di cose difficilissime, mentre è certo che siano del tutto inadatti a condividere alcunché di segreto.
Detestandosi cordialmente, infatti, hanno l'irresistibile pulsione a far circolare qualsiasi informazione riservata, al solo scopo di nuocersi l'un l'altro. Pulcinella, al loro cospetto, parrebbe un diplomatico di lungo corso.
Quando mi capita di incontrare chi un tempo, prima di incancrenire o rifluire in area democratica, mi fu compagno, costui, complice l'antica confidenza, mi strizza l'occhio e ammiccando al  collega di partito più vicino, mi sussurra: - è un democristiano!
Stranissimo, ma nessun esponente della destra di quel partito, e pure ne conosco, nell'additarmi un collega di cui vuol parlar male, mi sussurra mai: - è un comunista!
Temerebbe di fargli pubblicità, ed è istruttivo, dunque, apprendere quanto siano consapevoli, certi anticomunisti, di essere eletti con voti  comunisti.
Mia madre, che divenne comunista nel 1944, in piena repubblica sociale, ed è cresciuta nella doppiezza togliattiana,  è uno di quegli elettori.
Resta convinta che Massimo D'Alema a Roma e la Giuliana Manica, qui da noi, all'ora x getteranno la maschera per mostrare la loro genuina natura bolscevica, occultata per tattica sapiente, nel perdurare di un eterna fase in cui, come diceva quel tale, avevamo le mani legate.
Povera mamma, non c'è nessuna maschera da togliere. O forse si, ma ad altri.
E penso ai vendoliani, tutti compresi nella faticosa mansione di fungere da foglia di fico, a guardia delle vergognose pudenda di un re disperatamente nudo.
Immagino Nicola Fonzo alla disperata caccia, per la città e il contado, di una coppia gay anelante il matrimonio.
Un unione civile potrebbe rappresentare lo scambio simbolico con cui velare l'assoluta inconsistenza di azioni positive nei confronti di precari, disoccupati, cassintegrati ed esodati. Oltretutto, essendo il vescovo di qui, più propenso ad occuparsi di cose serie, la cosa potrebbe compiersi senza indizione di crociate che possano imbarazzare troppo l'area cattolica dello schieramento progressista.
Ma la coppia manca, giacché anche i gay sono terribilmente omologati, e ben poco inclini alle stravaganze, sul piano dei bisogni quotidiani. Anche per loro, perciò, il lavoro, il pane quotidiano, l'abitazione e il vestiario rappresentano, come per tutti, un bisogno prevalente, tutto il resto arriva dopo.
Dunque di questi problemi dovrebbe occuparsi la delegazione di sel in municipio, ma non lo fa, o lo fa in modo, poco visibile o poco efficace.
Abili nell'intercettare la domanda sociale e a imbastire movimenti rivendicativi, quando sono all'opposizione, sembrano aver perso questa capacità ora che sono al governo della città.
Amministrano come tutti gli altri, subendo la tirannia della partita doppia, a cui non sanno opporre neppure un po' di fantasia.
Quando si decidono per l'iniziativa politica, come fu per le aliquote imu, lo fanno nella maniera sbagliata, raccogliendo firme in piazza, laddove avrebbero dovuto invece pestare i pugni sul tavolo di giunta. Una sceneggiata.
Recentemente, falcidiato dalla spending review, o da altra diavoleria tecnocratica, il bilancio delle opere pubbliche cittadine è stato impietosamente ridimensionato.
Fonzo ne prende atto e resta al suo posto, a fare quel che riuscirà a fare.
Ma cosa avrebbe fatto, di diverso, un assessore del pdl o della lega?
Sel ha perso una buona occasione di marcare la sua contrarietà alle politiche recessive del governo, dimettendosi dall'esecutivo.
Ma non lo può fare e non lo vuol fare, perché ormai fagocitato dall'alleanza permanente e strategica con il pd, certe politiche recessive dovrà continuare ad ingoiarle per un bel pezzo e a tutti i livelli.

Non c'è bisogno di possedere virtù profetiche per prevedere che, spirato il tempo di questa poco entusiasmante giunta, la città verrà riconsegnata, per altri dieci anni, alla destra, con o senza l'aiuto del movimento di Grillo, che riporterà a palazzo Cabrino l'atmosfera ruspante della giunta Merusi.
Resta una domanda: - perché non ve ne andate adesso?
Perché non lasciate che la gente dimentichi la vostra mediocrità amministrativa, riciclandovi in un'opposizione attenta ed incalzante?
Perché non lasciate che la destra governi il disastro che ha provocato?
Fate qualcosa di diverso da loro? No, e vi scusate col dire che diversamente non si può fare.
Dunque perché rimanere?
O l'esercizio del potere è buono in sé?









        

     




giovedì 27 settembre 2012

congedo

Il 26 luglio scorso, nella suggestiva cornice di Casalbeltrame, ha dato l'addio al suo pubblico, interpretando magistralmente la difficile parte del Commissario nella Liliom di Molnar messa in scena da Betty Micali, l'attore Filippo De Titina. 
Il De Titina, come è noto, calcò le scene sin dalla più tenera infanzia (fu Tadzio in una mancata versione cinematografica di Morte a Venezia nei primi anni '60), provenendo da una famiglia di attori girovaghi (i più giovani fratelli, Filippo De Peppino e Filippo De Eduardo, sono ancor'oggi attivi sulle piazze di Bologna e Milano).
Particolare commozione ha destato il fatto che l'addio alle scene dell'anziano attor giovane, per una curiosa fatalità, abbia coinciso con il suo esordio. 


sabato 2 giugno 2012

alla barriera albertina





La fotografia di Ghigo è indubbiamente un fatto artistico, la valutiamo compiutamente nelle sue ricerche sulle foglie autunnali, dove  forma, sfondo e colore vanno a compitare un a sé semantico che divorzia tanto dal significante che dal significato originale per farsi oggetto di immediata fruizione estetica.
Naturalmente, tutta la fotografia di Michele Ghigo è così, e pertanto di competenza del critico d'arte.
Io, però, ho un debole per la fotografia quale documento, storico, sociale, antropologico, culturale, e pertanto vado a cercare nel  contenuto delle sue opere un al di là della forma.
Anche da questo punto di vista la mostra è ricca.
D. Masclet, La maison Lachaud, Paris, Centre Poumpidou
Rara, probabilmente unica, e per mie ragioni commovente, l' immagine, nello stile di Daniel Masclet, della bottega del fotografo Bolzoni. La bottega di questo su-perbo ritrattista era posta in un cortile della via Negroni, più o meno in uno degli spazi oggi occupati dal negozio Il cortile. Ogni mattina l'anziano fotografo ap-pendeva sul corso Cavour tre splendidi ritratti di altrettanto splendide donne.
Di questo vero maestro non sono rimaste molte tracce (potrebbe, in realtà, esserci qualcosa nelle collezioni di Remigio Bazzano), in ogni caso una copia di questa fotografia di Ghigo andrebbe depositata presso l'istituto storico cittadino.
Anche tutta la sequenza de il ramaio costituisce un raro documento di storia del lavoro, che necessita dell'interessamento di una pubblica istituzione.
Michele Ghigo, il ramaio, 1964

La stessa considerazione va fatta, naturalmente, per l'assaggiariso, e per molta produzione di Ghigo, anche di quella non rappresentata in questa mostra.
Michele Ghigo, piccola zingara, 1958

Su questa zingarella, più o meno mia coetanea, mi sono soffermato a lungo, e non escludo di tornane ancora a parlare.
Siamo nel 1958, quando ancora si poteva fotografare un minore senza rischiare il linciaggio e senza farsi firmare liberatorie dai genitori. Una fortuna, senza cui non avremmo questo documento.
È una piccola sinti - etnia praticamente stanziale in Piemonte fin dal XV secoloo forse, se i paioli che si intravedono attorno ci informano correttamente, appartiene all'etnia dei rom kalderasha, di abitudini meno sedentarie.
In ogni caso, una razza fiera - come è fiero lo sguardo di questa bambina - magari allegramente disonesta, ma poco incline alle piagnucolose geremiadi a cui ci hanno abituato oggi i loro cugini della diaspora dell'est.
Indispettito dall'intrusione, il gavroche in gonnella - una vera birba - guarda severamente il fotografo, ma l'angolo sinistro della bocca è già pronto a distendersi in un sorriso.
In quei tempi, quando anche noi eravamo più poveri, e con meno miserie da difendere, le occasioni di dialogo restavano aperte.


Michele Ghigo, il caffè degli aristocratici, 1968

L'anno della ripresa e il titolo assegnato concorrono a fare di questa fotografia un documento di satirica critica sociale.
È una vignetta degna di Grosz, alla quale poco si  può aggiungere.
Bisogna però notare che volti, gesti e ambientazione formano un insieme unico, difficilmente replicabile, se non ricorrendo a una sceneggiatura completa di casting.
Tale considerazione ci impone di rivedere e integrare le battute iniziali di queste note.
Evidentemente, oltre alle dette qualità di artista, a Ghigo va riconosciuto anche un notevole talento da reporter.
Dalla mostra si esce soddisfatti per quel che si è visto, e curiosi di vedere quel che non c'è.
Per Michele Ghigo è giunto il tempo di una grande mostra antologica, con adeguato catalogo, e gli organismi deputati alla capitalizzazione delle risorse culturali cittadine, se ancora ci sono, debbono prenderne nota.