venerdì 2 novembre 2012

interrogativo


Ma perché non se ne vanno?

Francesco Diotiallevi, Re nudo










Ringrazio il fatto di non essere residente a Novara, sono stato perciò dispensato dal votare, per disciplina di partito (un parente povero della cui opinione a nessuno importa), l'attuale giunta che, dopo dieci anni di dominio leghista, ha riportato un sindaco democratico a governare la città.
Se non lo avessi letto sul giornale, di questo evento epocale, che data ormai da un anno e mezzo, non me ne sarei mai accorto.
Nessuna soluzione di continuità sembra infatti aver separato la precedente conduzione leghista della città, da quella attuale.
Si fanno le stesse cose che si sono sempre fatte, comprese (vedi parcheggio sotterraneo ) quelle che, esplicitamente, in campagna elettorale, si diceva che non andavano fatte.
Assessori e consiglieri scoprono, a ogni pie' sospinto, di essere vincolati ai progetti, ai debiti e agli ammanchi di chi li ha preceduti, rivelando, con insospettato candore, un assoluta carenza di informazione sulle prassi amministrative e suscitando sospetti sull'attenzione con cui, quando furono all'opposizione, ebbero a vigilare sulla gestione di Giordano e soci.
A tutt'oggi è poco chiaro al cittadino novarese se il centro sportivo del Terdoppio costi meno aperto, o chiuso, oppure se non convenga farlo saltare in aria con la dinamite.
Ci sono stati, invero, dispendiosi ricorsi al Consiglio di Stato, che nulla hanno sortito, e si è parlato di trasmissione degli atti alla Procura e alla Corte dei Conti, ma con le prescrizioni brevi imposte dal trascorso governo della malavita, dubito che tali adempimenti possano approdare a una riparazione concreta del danno.
Eppure ci sarebbe stata, forse, per un'opposizione maggiormente attenta, occasione più tempestiva e produttiva di denuncia, in quei tempi in cui l'ingenuo Gianni Barletta peregrinava, con un voluminoso dossier, dall'uno all'altro dei dirigenti pd, ricevendone in cambio pacche sulle spalle e un cane per mano.
Anche a proposito delle disinibite capacità amministrative di una sopravvalutata étoile autoctona, si sono diffuse voci poco rassicuranti. Ma a questo proposito, occorre dire subito che  la differenza tra maggioranza e operazione qui non può essere tirata in ballo: c'era un consiglio d'amministrazione che deve rispondere in solido delle sue scelte.
Infine, su iniziativa di un ingegnere forse un po' infiammabile, si sono messi in dubbio i titoli di merito del nuovo direttore del Brera. Nella bufera che ne è seguita - e che, per qualcuno, trarrebbe credito dalla tradizionale idiosincrasia indigena nei confronti di chi arriva da fuori - le iscrizioni a quello che fu un prestigioso istituto, languono. Il sindaco, che a lungo è stato membro del consiglio d'amministrazione di quell'ente, non ha ritenuto opportuno pronunciarsi.

Eppure, a ben pensarci, della mutata condizione di certi personaggi politici locali, ce ne si doveva ben accorgere, anche solo nell'incrociarli per via. Sono perennemente incollati al telefonino, per evidenti indifferibili affari attinenti il loro ufficio, e agitano la mano di lontano in un gesto di saluto che è, al tempo stesso, congedo e supplice invito a non volerli importunare, con quelle chiacchiere che pur sarebbero felici di ascoltare, se non vi si opponesse la tirannia di un loro  tempo, irrimediabil-mente risicato dalle ragioni della ragion di stato.
Questo atteggiamento - molto differente dalla popolare affabilità dei passati amministratori leghisti - si spiega in gran parte col fatto che questi sono antipatici per parte loro, e  tali dovevano essere anche nella più tenera infanzia.
Ma a questo dato caratteriale si associa anche la diligente compitazione delle lezioni del professor Monti e consorti, i quali - con il beneplacito di gran parte del parlamento - nei modi e nei toni non fan mistero di esser certi che la politica, o comunque la si voglia chiamare, non è più cosa che possa decidersi in ambito pubblico, e men che mai che possa essere, non dico condizionata, ma anche solo interessata al parere della gente comune.
Si tratta di cose difficilissime e segrete nelle quali non deve mettere il becco chi non è addetto ai lavori. La democrazia resta, come esercizio di stile, ma in un contesto dove, chi decide trova la legittimazione non dal basso, col voto, ma dall'alto, con l'investitura di poteri forti transnazionali.
In attesa di far carriera, i nostri amministratori locali cominciano ad imparare gli atteggiamenti esteriori, anche se, chi li conosce anche solo un pochino, dubita che essi siano capaci di occuparsi di cose difficilissime, mentre è certo che siano del tutto inadatti a condividere alcunché di segreto.
Detestandosi cordialmente, infatti, hanno l'irresistibile pulsione a far circolare qualsiasi informazione riservata, al solo scopo di nuocersi l'un l'altro. Pulcinella, al loro cospetto, parrebbe un diplomatico di lungo corso.
Quando mi capita di incontrare chi un tempo, prima di incancrenire o rifluire in area democratica, mi fu compagno, costui, complice l'antica confidenza, mi strizza l'occhio e ammiccando al  collega di partito più vicino, mi sussurra: - è un democristiano!
Stranissimo, ma nessun esponente della destra di quel partito, e pure ne conosco, nell'additarmi un collega di cui vuol parlar male, mi sussurra mai: - è un comunista!
Temerebbe di fargli pubblicità, ed è istruttivo, dunque, apprendere quanto siano consapevoli, certi anticomunisti, di essere eletti con voti  comunisti.
Mia madre, che divenne comunista nel 1944, in piena repubblica sociale, ed è cresciuta nella doppiezza togliattiana,  è uno di quegli elettori.
Resta convinta che Massimo D'Alema a Roma e la Giuliana Manica, qui da noi, all'ora x getteranno la maschera per mostrare la loro genuina natura bolscevica, occultata per tattica sapiente, nel perdurare di un eterna fase in cui, come diceva quel tale, avevamo le mani legate.
Povera mamma, non c'è nessuna maschera da togliere. O forse si, ma ad altri.
E penso ai vendoliani, tutti compresi nella faticosa mansione di fungere da foglia di fico, a guardia delle vergognose pudenda di un re disperatamente nudo.
Immagino Nicola Fonzo alla disperata caccia, per la città e il contado, di una coppia gay anelante il matrimonio.
Un unione civile potrebbe rappresentare lo scambio simbolico con cui velare l'assoluta inconsistenza di azioni positive nei confronti di precari, disoccupati, cassintegrati ed esodati. Oltretutto, essendo il vescovo di qui, più propenso ad occuparsi di cose serie, la cosa potrebbe compiersi senza indizione di crociate che possano imbarazzare troppo l'area cattolica dello schieramento progressista.
Ma la coppia manca, giacché anche i gay sono terribilmente omologati, e ben poco inclini alle stravaganze, sul piano dei bisogni quotidiani. Anche per loro, perciò, il lavoro, il pane quotidiano, l'abitazione e il vestiario rappresentano, come per tutti, un bisogno prevalente, tutto il resto arriva dopo.
Dunque di questi problemi dovrebbe occuparsi la delegazione di sel in municipio, ma non lo fa, o lo fa in modo, poco visibile o poco efficace.
Abili nell'intercettare la domanda sociale e a imbastire movimenti rivendicativi, quando sono all'opposizione, sembrano aver perso questa capacità ora che sono al governo della città.
Amministrano come tutti gli altri, subendo la tirannia della partita doppia, a cui non sanno opporre neppure un po' di fantasia.
Quando si decidono per l'iniziativa politica, come fu per le aliquote imu, lo fanno nella maniera sbagliata, raccogliendo firme in piazza, laddove avrebbero dovuto invece pestare i pugni sul tavolo di giunta. Una sceneggiata.
Recentemente, falcidiato dalla spending review, o da altra diavoleria tecnocratica, il bilancio delle opere pubbliche cittadine è stato impietosamente ridimensionato.
Fonzo ne prende atto e resta al suo posto, a fare quel che riuscirà a fare.
Ma cosa avrebbe fatto, di diverso, un assessore del pdl o della lega?
Sel ha perso una buona occasione di marcare la sua contrarietà alle politiche recessive del governo, dimettendosi dall'esecutivo.
Ma non lo può fare e non lo vuol fare, perché ormai fagocitato dall'alleanza permanente e strategica con il pd, certe politiche recessive dovrà continuare ad ingoiarle per un bel pezzo e a tutti i livelli.

Non c'è bisogno di possedere virtù profetiche per prevedere che, spirato il tempo di questa poco entusiasmante giunta, la città verrà riconsegnata, per altri dieci anni, alla destra, con o senza l'aiuto del movimento di Grillo, che riporterà a palazzo Cabrino l'atmosfera ruspante della giunta Merusi.
Resta una domanda: - perché non ve ne andate adesso?
Perché non lasciate che la gente dimentichi la vostra mediocrità amministrativa, riciclandovi in un'opposizione attenta ed incalzante?
Perché non lasciate che la destra governi il disastro che ha provocato?
Fate qualcosa di diverso da loro? No, e vi scusate col dire che diversamente non si può fare.
Dunque perché rimanere?
O l'esercizio del potere è buono in sé?









        

     




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